I family business in Italia
Spesso si considera l’impresa a controllo familiare (il “family business”) un sinonimo di piccola impresa, di natura artigianale. È un errore di percezione: si pensi a società come Ferrero (fondata nel 1946), Bauli, Barilla, oppure, nel settore della moda, Benetton o Gucci. Sono, tutti, esempi di società ove il controllo è in mano a un nucleo familiare. I family business – che spesso sono di dimensioni molto minori delle grandi società citate sopra, talvolta controllate da una singola persona fisica – rappresentano l’ossatura dell’economia italiana.
Quali sono gli elementi caratteristici del family business? Sul fronte del controllo dell’impresa, i titolari del capitale sociale (o della maggioranza di esso) appartengono ad un’unica famiglia o a poche famiglie collegate tra loro da vincoli di parentela. Sul fronte della governance, è tipicamente affidata nei ruoli chiave ai membri della famiglia/delle famiglie titolari della maggioranza del capitale. Nell’ambito delle società quotate, le soglie ovviamente si abbassano: può considerarsi una impresa familiare anche una società dove una o più famiglie detengano solo un quarto del capitale. Si tratta di imprese resilienti, in certi casi, assai longeve (la famiglia Antinori fondò la società vinicola nel 1385, la vetreria Barovier & Toso aprì nel 1295), capaci di adattarsi meglio alle crisi sistemiche.
Alcuni numeri
Circa l’87% delle società italiane sono costituite come un family business (fonte: Foundation for Family Business), con un dato in crescita rilevato tra il 2018 e il 2022 (+ 5,5%, fonte: Istat). Il fenomeno del family business è particolarmente diffuso tra le microimprese (83,3% dei casi), mentre decresce al crescere della dimensione della società: nelle piccole imprese (fatturato tra 20 e 50 milioni) sono il 74,5% mentre nelle medio-grandi imprese (fatturato superiore a 50 milioni) il dato si attesta sul 61% (fonte: Osservatorio AUB promosso da AIDAF, UniCredit, Bocconi). In termine di impiego, si calcola che circa il 58% dei family business italiani hanno meno di 10 dipendenti, mentre in termine di settori, domina quello manifatturiero, che comprende circa il 49% di tutti i family business.
Il rapporto privilegiato con la Germania
La Germania è il primo partner commerciale per l’Italia e i suoi family business, sia come sbocco dell’export italiano (nel periodo gennaio/ottobre 2024, il valore dell’export italiano verso il mercato tedesco ha cubato circa eur. mln. 60.362), sia come paese di provenienza dell’import italiano (sempre nel periodo gennaio/ottobre 2024 il valore dell’import italiano verso la Germania ha cubato circa eur. mln. 71.061). Dall’altro lato, l’Italia è al quinto posto tra i fornitori del mercato tedesco e al sesto posto tra i mercati di destinazione dell’export tedesco (dati: Governo italiano).
Rispetto al mercato tedesco, i family business italiani sono più numerosi e generalmente più piccoli, indice di una maggiore parcellizzazione e minore tendenza del sistema italiano a creare conglomerati imprenditoriali di medio-grandi dimensioni. Si calcola che considerando il rapporto tra PIL tedesco e italiano, in Italia dovremmo avere almeno un terzo in più di imprese con ricavi superiori a 1 miliardo di euro.
Conclusione
Le sfide che riguardano i family business, sia italiani che tedeschi, sono molteplici e, spesso, analoghe. Nelle prossime pubblicazioni, ci occuperemo di tali sfide: l’apertura al mercato dei capitali, i processi di internazionalizzazione e di aggregazione industriale, l’importanza di governance virtuose, la gestione dei passaggi generazionali, i principali driver fiscali.
Insight a cura di:
Valentina Dragoni – valentina.dragoni@crccdlex.com
Martino Liva – martino.liva@crccdlex.com
Per una comparazione con il family business nel mercato tedesco, si rinvia all’Insight di Bettina Wirth-Duncan sul blog/sito di Flick Gocke Schaumburg (clicca qui).