Di Paolo Calderaro e Alberto Del Din

Da qualche tempo si dà per imminente una iniziativa legislativa del governo volta a permettere ai debitori di finanziamenti non più in bonis di ottenere la cancellazione del debito pagando un importo ridotto rispetto a quello effettivamente dovuto, prescindendo dal consenso del creditore. I termini definitivi della misura non sono noti, tuttavia è possibile formulare delle plausibili ipotesi ricostruttive sulla base delle varie esternazioni sul tema di autorevoli esponenti del governo e delle proposte di legge sul tema presentate in parlamento dalle forze di maggioranza.

La proposta prevedrebbe la facoltà per i debitori (persone fisiche – ma forse, tra queste, solo gli artigiani – e micro e piccole-medie imprese) il cui debito non superi un importo in via di definizione ( si è parlato di 1 milione, mentre le proposte di legge indicano 25 milioni) e che siano ricompresi in una cessione “di portafoglio” da parte del creditore originario di ottenere l’esdebitazione pagando un importo parametrato al prezzo di cessione maggiorato di una determinata percentuale (20%, parrebbe).
Per quanto la finalità astratta dell’intervento – il supporto ai debitori in difficoltà – evochi valori e principi ampiamente condivisi e incontestabili, si tratta di ragionare, anche traendo spunto dalle esperienze precedenti, sul grado di efficacia della misura nella sua ipotizzata impostazione rispetto alla dichiarata finalità della stessa e sul costo (inteso come sacrificio di altri interessi rilevanti per l’ordinamento) che comporta.
In tale prospettiva, la prima osservazione che si impone riguarda la sede normativa in cui la misura sarebbe calata: nonostante l’essenza del tema – l’uscita del debitore da una crisi più o meno reversibile – intersechi chiaramente le vicende concorsuali disciplinate dal recente codice delle crisi, l’intenzione sembrerebbe quella di creare un corpus normativo autonomo, slegato dal codice della crisi e fondato su presupposti applicativi specifici.
Le difficoltà di coordinamento cui darebbe luogo un intervento a-sistematico rischiano di essere significative: la cessione della posizione come presupposto applicativo della misura proposta – un fattore totalmente estraneo rispetto alla sfera di influenza del debitore e in qualche misura casuale – rischia di creare una poco ragionevole sperequazione tra debitori ceduti e non ceduti e che pure siano in una situazione analoga per ogni altro aspetto sostanziale. Facile pensare alle distorsioni che potrebbero determinarsi anche nel contesto delle varie procedure che prevedono la necessità di ottenere la convergenza di consenso dei creditori rispetto a una determinata proposta riguardante il debitore, provocando un’alterazione del peso di ciascun creditore nei confronti del debitore e nei rapporti tra creditori. In definitiva la norma proposta determinerebbe un (ulteriore, e poco razionale) indebolimento della par condicio creditorum ed un’alterazione dei rapporti tra creditori e nei confronti del debitore.
Altrettanto venata di casualità appare la parametrazione dell’importo del pagamento a fronte della esdebitazione in funzione dell’accordo sul prezzo raggiunto liberamente tra soggetti diversi dal debitore, che inevitabilmente sarà frutto di circostanze contingenti (e che possono prescindere in misura rilevante dalla valutazione della meritorietà del debitore e della sua situazione economico-patrimoniale): ad esempio, la forza negoziale della banca cedente e le sue scelte di accantonamento, come anche la tipologia del cessionario, influenzano il prezzo di cessione e, quindi, quello della esdebitazione, e vi saranno così debitori più fortunati e debitori meno fortunati.
Anche il presupposto applicativo della qualificazione del credito come “deteriorato” ai sensi delle regole di contabilità del creditore dà adito a perplessità, derivando da una valutazione della situazione di difficoltà del debitore compiuta da un soggetto diverso dal debitore stesso, e comprendendo inoltre al suo interno una vasta gamma di situazioni: dal credito verso l’azienda definitivamente fallita a quello verso l’artigiano che per momentanea difficoltà registra un recuperabile ritardo nei pagamenti. La varietà di situazioni è talmente ampia da rendere inevitabili le perplessità circa l’opportunità dell’attribuzione dello stesso beneficio in maniera indistinta. Ad esempio, nel caso di una azienda fallita e che abbia cessato l’attività in attesa della liquidazione dell’attivo (e impossibilitata pertanto a rimettersi in gioco per effetto dell’applicazione della esdebitazione, per riprendere la premessa di un precedente disegno di legge in materia), quale sarebbe il beneficio realizzato dall’applicazione della misura e a favore di quale soggetto (gli altri creditori della liquidazione giudiziale?).
C’è poi da considerare che se le nuove norme riguardassero anche inadempienze future, si rischierebbe di incentivare i debitori a rendersi inadempienti in vista della possibilità di uno sconto sul debito in maniera pressoché automatica. Pertanto, si immagina che il beneficio sarebbe unicamente riservato a debitori la cui esposizione sia divenuta deteriorata in un arco temporale precedente l’entrata in vigore della legge. A prescindere dal rischio di ingenerare l’attesa di reiterazioni successive del provvedimento per archi temporali ulteriori, con conseguente rischio di moral hazard, rimarrebbe da domandarsi a quale criterio di ragionevolezza potrebbe rispondere la determinazione del periodo temporale, tenendo anche presente che la classificazione di un credito come deteriorato è normalmente frutto di situazioni di fatto verificatesi anteriormente alla stessa.
Non si possono poi trascurare gli inevitabili effetti collaterali del presupposto applicativo legato alla cessione del credito sulla capacità dei creditori bancari di effettuare cessioni di crediti deteriorati – il che sembra essere considerato un obiettivo rilevante anche da parte dell’Unione Europea e della BCE. La possibilità della esdebitazione renderebbe infatti assai problematica la fissazione di un prezzo “fermo” per il portafoglio, essendo facilmente prevedibile (in quanto razionale) che il compratore si riservi una rideterminazione del prezzo che tenga conto della composizione finale – soprattutto qualitativa – del portafoglio per effetto delle esdebitazioni attivate, o addirittura che possa non avere interesse per l’acquisto del portafoglio nella sua nuova composizione. Si potrebbe così verificare la situazione perversa di una cessione realizzata ad un determinato prezzo, in base al quale verrebbero attivate le esdebitazioni, salvo poi dover riconsiderare prezzo (del portafoglio) e l’opportunità stessa della cessione. Le complicazioni aumenterebbero in caso di operazioni di cartolarizzazione rivolte al mercato, dovendo fare i conti con le rigidità procedurali proprie del mercato dei capitali. Senza contare che qualora il provvedimento avesse effetti anche sulle cessioni già effettuate, potrebbero, per i motivi esposti in precedenza, prodursi effetti rilevanti (negativi, si intende) sull’andamento delle operazioni di cartolarizzazione in essere. Molte di tali operazioni sono assistite da garanzie pubbliche.