Esiste la “giusta” forma societaria per un family business?
La scelta del modello societario va fatta caso per caso, alla luce delle esigenze dei soci.
Il modello più in auge nel passato era quello delle società di persone. Le società di persone garantiscono infatti costi più bassi delle società di capitali, maggiore informalità dei processi decisionali, ed erano (e sono) di sicuro adatte in contesti familiari molto ristretti (e.g. un solo nucleo familiare). Di contro questa forma societaria non gode del beneficio della responsabilità limitata e non permette di assicurare governance articolate.
Le società di capitali (SRL/SPA), oltre ad apparire più solide agli occhi del mercato, garantiscono una maggiore diversificazione della governance e dei ruoli dei vari soci.
Infatti, se si pensa alle governance dei family business si deve considerare che spesso tali società includono due categorie di soci: i soci imprenditori, i quali, oltre a beneficiare degli utili sono deputati a gestire l’azienda e i soci di capitale, estranei alla gestione ma interessati ai risultati dell’impresa.
Il diritto societario italiano, dalla riforma del 2003, consente l’utilizzo dei “diritti particolari” quale strumento funzionale a regolare le particolarità di governance delle S.r.l., mentre nelle S.p.A. si utilizza l’istituto della categoria di azioni.
La società per azioni resta il modello di società di capitali per eccellenza, soprattutto in caso di ingresso di soci esterni (quali i fondi di PE). È però un modello più rigido nella divisione tra diritti dei soci e gestione dell’impresa, oltre che più costoso.
Quando la compagine dei soci resta ancora quella familiare (sebbene con articolazioni familiari più complesse) la società a responsabilità limitata è un buon compromesso perché ha costi fissi minori della società per azioni ed è più flessibile nella definizione di una governance “a misura familiare”. Questo ha fatto sì che molti dei family business italiani siano passati da società di persone create dal capo famiglia a società a responsabilità limitata (S.r.l.).
Nelle S.r.l., come si diceva, è possibile utilizzare lo strumento dei “diritti particolari” dei soci. In sintesi, ad alcuni soci, per i motivi più diversi legati alla loro qualità (es. fondatore del business, principale finanziatore, appartenente a un certo nucleo familiare etc.), sono attribuiti particolari diritti di governance (ad esempio, diritto di veto in assemblea su determinate materie, diritto di prelazione, diritto di drag along ossia di “forzare” la vendita delle partecipazioni dei soci di minoranza in caso di vendita della maggioranza etc.) o particolari diritti economici (ad esempio, utili più che proporzionali). Oppure, per chi non è coinvolto nell’amministrazione della società, particolari diritti di informativa infrannuale, garantendo maggiore allineamento sui risultati e maggiore trasparenza da parte di chi amministra.
Il regime dei “diritti particolari” è stato da qualche tempo affiancato dal regime delle “categorie di quote”. Dopo le diverse modifiche che hanno interessato il d.l. n. 179 del 2012 (cd. start-up act), le categorie di quote, in Italia, non sono solo una prerogativa delle start-up innovative ma di tutte le piccole medie imprese (PMI), costituite in forma di S.r.l.: di fatto, molti dei family business.
Emettere categorie di quote (assimilabili nella loro funzione alle categorie di azioni) significa poter assegnare ai soci (ad esempio componenti di diversi nuclei familiari), partecipazioni al capitale sociale di diverse categorie, ciascuna delle quali dotate di diversi diritti senza che tali diritti siano prerogativa individuale di un singolo socio come avviene per i “diritti particolari”: chiunque detenga quote di una certa categoria è titolare dei diritti di quella categoria, con evidente semplificazione nella successione dei diritti all’interno degli stessi gruppi familiari. Un meccanismo che genera certezza nei rapporti tra i nuclei familiari, stabilità degli equilibri in grado di assecondare esigenze o aspettative specifiche.
Alcuni esempi? La categoria dei soci gestori può avere una maggiorazione nella distribuzione degli utili, quale incentivo e “premio” per il lavoro svolto. Oppure si può privare del diritto di voto la categoria dei soci di capitale, rendendoli silenti nella governance, eventualmente associandovi un diritto automatico alla distribuzione degli utili, per evitare conflitti di interessi. Oppure limiti alla circolazione per certe categorie di quote.
Incrociando diritti particolari del socio e categorie di quote si può disegnare una società a misura di ciascun family business con diritti della categoria che passano da un socio all’altro e diritti particolari legati solo ad alcune figure.
Categorie di quote e “diritti particolari” sono, di fatto, uno strumento tecnico decisivo, che si propone di favorire governance trasparenti, virtuose, bilanciate e “tailor made”.
Seguiteci nelle prossime puntate per analizzare le ulteriori sfide che interessano i family business.
Insight a cura di:
Valentina Dragoni – valentina.dragoni@crccdlex.com
Martino Liva – martino.liva@crccdlex.com
Per una comparazione con il family business nel mercato tedesco, si rinvia all’Insight di Bettina Wirth-Duncan sul blog/sito di Flick Gocke Schaumburg (clicca qui).