di Francesco Ninfole
Lo strumento è stato usato nelle recenti operazioni di Bper, Banco Bpm, Unicredit e Banca Ifis. I benefici sono legati a minori costi, semplificazione delle procedure e utilizzo del diritto italiano dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Le banche italiane stanno utilizzando sempre di più il diritto italiano e la dematerializzazione dei titoli per le emissioni, anche come conseguenza della Brexit. La prima a muoversi è stata Bper nel 2022, con un titolo senior non preferred. Poi anche Banco Bpm, Unicredit e Banca Ifis sono andate nella stessa direzione. In tal senso è significativa la recente operazione di Banco Bpm che ha utilizzato per la prima volta la struttura italiana per un’emissione di Additional Tier 1, quindi di un titolo subordinato: un segnale di sempre maggiore fiducia del settore.
L’analisi di Morelli (Cappelli Rccd)
«Questa nuova struttura di emissione riduce sensibilmente i costi per gli emittenti e semplifica di molto la documentazione e la procedura», spiega Federico Morelli, partner dello studio legale Cappelli Rccd che ha seguito le prime operazioni fatte in Italia. «Sarà importante per gli operatori di mercato superare una iniziale fisiologica ritrosia ad abbandonare quei processi collaudati di diritto inglese, che hanno sempre dato ottimi risultati, e sapersi rinnovare perseguendo obiettivi di semplicità ed economicità».
Il peso della Brexit
L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea ha spinto gli operatori a domandarsi se utilizzare ancora l’architettura inglese, quindi fuori dal perimento del diritto Ue, per i bond Emtn (Euro Medium Term Notes). Nel tempo i giudici inglesi saranno sempre meno formati sulle leggi europee e questo può creare un rischio legale. Inoltre non c’è nessun pericolo per l’uso della struttura italiana: «La dematerializzazione in Italia costituisce già un ambiente giuridico protetto, nel quale i processi di emissione e circolazione degli strumenti è ben collaudato e non soggetto a sorprese», osserva Morelli.
I vantaggi della dematerializzazione
La dematerializzazione esiste dal 1998 ed è impiegata soprattutto per azioni quotate e strumenti finanziari domestici che hanno un Isin IT invece che XS (quello per le emissioni internazionali). L’Isin è l’International Securities Identification Number, cioè il codice riconosciuto a livello globale per l’identificazione degli strumenti finanziari sui mercati e nelle transazioni. Le banche negli anni scorsi non hanno avuto molto interesse nella dematerializzazione: può aver inciso la preferenza di alcuni intermediari internazionali per la prassi inglese. Ma l’orientamento sta cambiando. Anche perché ci sono vantaggi di costo. L’emissione italiana per esempio permette di risparmiare sui corposi documenti delle global note, sui costi degli agenti di pagamento e sul parere di diritto inglese. Nulla cambia per il rischio dei bond che dipende dall’emittente, non dal luogo di emissione. Si sta poi abbandonando la percezione, non motivata da fattori oggettivi, secondo cui gli Isin XS siano preferibili rispetto a quelli IT. Le banche di Germania, Francia e Spagna stanno usando sempre più il diritto nazionale per l’emissione di titoli.
L’evoluzione normativa
La dematerializzazione appare a molti un passaggio necessario nel contesto di mercato. Anche secondo la Bce occorre facilitare l’emissione di strumenti finanziari in forma dematerializzata. Del resto ormai la legislazione sui mercati sta facendo ulteriori passi avanti, per esempio con l’uso di token. «La dematerializzazione dei bond costituisce la necessaria base per i successivi futuri processi di digitalizzazione degli strumenti finanziari, ai quali gli emittenti italiani non dovranno farsi trovare impreparati», rileva Morelli.«Questo è stato reso possibile soprattutto dall’impegno profuso dal Mef, in primis con il Libro Verde, che ha creato le basi concettuali e lo stimolo operativo per introdurre sul mercato in maniera efficiente una tale innovazione». (riproduzione riservata)
MF – Numero 253 pag. 3 del 27/12/2023
Francesco Ninfole
MF – Milano Finanza